Assunzione Basata sulle Competenze

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Jul 07, 2025Di Beatrice Bonadio

La rivoluzione silenziosa dello skill-based hiring

Fino a pochi anni fa, il titolo accademico era il biglietto d’ingresso nel mondo del lavoro. Un indicatore ritenuto imprescindibile di competenza e affidabilità. Oggi, però, qualcosa sta cambiando. E non parliamo di una moda passeggera: è una trasformazione strutturale.

Due notizie, arrivate nel giro di pochi giorni, ci fanno riflettere su questa svolta.

Da un lato, Neil Clifford, CEO del marchio britannico Kurt Geiger, decide di aprire tutte le nuove posizioni aziendali a chi non ha un titolo di studio formale. La motivazione? Una pagella scolastica dimenticata nel cassetto, dove Clifford aveva ricevuto un “F” in arte. Da lì, la consapevolezza: il talento non sempre si misura con i voti.

Dall’altro, la storia di Chanelle Washington-Bacon, oggi business analyst in Cisco, che ha ottenuto il suo ruolo senza una laurea, grazie a un programma che punta tutto su competenze reali, non su titoli.

Queste non sono eccezioni. Sono il segnale che il “paper ceiling” – quella barriera invisibile fatta di diplomi e requisiti formali – sta iniziando a cedere.

competency based recruitment

Un cambio di paradigma globale

Secondo il report 2025 State of Skills-Based Hiring, l’85% delle imprese USA oggi seleziona sulla base delle competenze, e non solo dei titoli. Il 76% introduce test pratici già nelle prime fasi della selezione.

Il motivo? È semplice: assumere in base alle skill permette di aumentare la diversità (+10%) e ridurre l’abbandono del personale (-20%), come conferma LinkedIn in un recente studio.

Anche in Europa il quadro è simile. Le aziende faticano a trovare candidati qualificati, e molte iniziano a guardare oltre i CV, puntando su micro-certificazioni, case study, piattaforme di assessment e intelligenza artificiale per rilevare il potenziale reale delle persone.

E in Italia?

Nel nostro Paese, la percentuale di laureati è ancora inferiore alla media UE. Ma più che un limite, potrebbe diventare un’opportunità per chi saprà guardare oltre i titoli formali.

Oggi, la sfida è chiara: non cercare solo competenze “certificate”, ma competenze vere. Quelle che fanno la differenza in un team, in un reparto, in un’azienda.

skills assessment

Cosa possono fare le aziende (e gli HR)?

📌 Ripensare le job description: meno “requisiti minimi” standard, più attenzione al valore pratico di ciò che una persona sa fare davvero.

📌 Introdurre strumenti oggettivi: test pratici, simulazioni, analisi comportamentali e skill assessment per una selezione più equa e precisa.

📌 Formare i manager: serve una cultura diffusa, capace di riconoscere e valorizzare il potenziale anche dove non c’è un “pezzo di carta”.

📌 Investire nell’upskilling interno: il talento è spesso già in casa, ma va coltivato, fatto crescere, messo in movimento. L’internal mobility non è più un’opzione: è una necessità strategica.

Non è solo una nuova moda: è un nuovo modo di vedere il lavoro.

Chi saprà adottare un approccio skill-first oggi, avrà un vantaggio competitivo domani.

E in un mercato dove i migliori talenti si muovono velocemente, la vera domanda è: la tua azienda è pronta ad assumerli, anche se non hanno un titolo?

workplace diversity